12 gennaio 2022
Come sta cambianto l'architettura urbana di Milano, New York, Londra, Shanghai e Tokyo? Su queste le città abbiamo posato lo sguardo durante quest’ultimo anno di emergenza sanitaria e di distanziamento. Come stanno cambiando gli spazi urbani? E quali i nuovi temi di progettazione? Ne abbiamo parlato con Martina Orsini, PhD., designer e studiosa di architettura e urbanistica che vive a Milano. Per oltre un decennio è stata docente del Laboratorio di Progettazione Urbana e Territoriale e del Corso di Fondamenti di Urbanistica presso la Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano. Qualche anno fa ha fondato IBIDEM, piattaforma di design e ricerca che coinvolge professionisti, ricercatori e accademici che lavorano tra Berlino, Bruxelles, Bogotá, Huddersfield, Johannesburg, Milano, Parigi e Tokyo.
“La città dei 15 minuti è un tema ‘antico’ ”, commenta Martina Orsini, “L’urbanistica si è sempre preoccupata di dotare le città di servizi raggiungibili e il più possibile diffusi. Quando non l’ha fatto, ha disatteso uno dei suoi compiti principali: garantire la vivibilità dei luoghi”. La pandemia ha fatto emergere con evidenza temi legati alle varie forme di disuguaglianza urbana comuni a tutte le città del mondo. Si costruisce molto a fronte di una domanda sempre più debole, rimane forte la carenza di abitazioni per studenti, single, giovani coppie, anziani, lavoratori fragili.
La municipalità sta lavorando alla ripresa e trasformazione del capoluogo lombardo intervenendo anche sugli spazi del lavoro, sulla mobilità lenta e sul sistema territoriale dei collegamenti. Ma il cambiamento coinvolge molti settori, dallo sviluppo immobiliare alla grande distribuzione.
“Resta un tema di grande attualità”, continua Orsini, “la centralità di una regia pubblica nello sviluppo e nel disegno delle città, sebbene di concerto con i numerosi operatori nazionali e internazionali. Così come la comprensione e valorizzazione della vocazione urbana. Milano non sia più la città della moda, ormai tutta di proprietà francese; ma le molte università presenti nei ranking internazionali, e gli ospedali e centri di ricerca noti in tutto il mondo, la dovrebbero posizionare in un segmento di attrattività, e in un sistema economico, guidati per esempio da questi settori. E senza scordare che è parte di territorio urbano vasto estremamente produttivo con cui è fondamentale coordinare gli scenari per il futuro”.
Al lavoro per fare tornare le persone in città, dopo lo svuotamento dovuto alla pandemia, anche la città americana lavora sui servizi di prossimità e il rapporto con l’area vasta. Ricordandoci che proprio negli Usa, nel 1909, Daniel H. Burnam elaborava il concetto della "neighborhood unit”, unità di vicinato, per il piano di Chicago, proponendo la costruzione di nuovi quartieri residenziali compatti.
Bisogna dare risposta ad una forte esigenza di prossimità dei servizi ma, continua Orsini: “È necessario codificarla e normarla. Di quali funzioni e servizi abbiamo bisogno? Come garantire facilità di accesso e inclusione di tutti i cittadini? Il tema della mixité urbana e sociale – e dei servizi da garantire – è fondamentale per qualsiasi ragionamento sulla città e lo sarà sempre più nei prossimi anni, anche cambiandone le regole in risposta ai nuovi bisogni. Altrimenti si rischia di lasciare ai margini ampie parti di popolazione; penso per esempio ai giovani che non hanno spazi nei quali ritrovarsi e assecondare passioni e attività extrascolastiche.”
Una delle megalopoli più popolose al mondo fa i conti con una cultura legata alle tradizioni e una vocazione all’innovazione tecnologica. Nuove forme di organizzazione del lavoro, più smart, potrebbero essere una delle chiavi strategiche per guidare il cambiamento e rendere la città, e il suo territorio, più inclusivi.
Ci stiamo concentrando molto sulla città consolidata dimenticando la dimensione metropolitana, come invece impone la sempre più rapida crescita delle grandi città e megalopoli. “Siamo tornati a parlare di periferie, ma è un concetto superato”, continua Orsini, “Noi viviamo in vasti territori urbanizzati; negli ultimi anni abbiamo lavorato poco su nuove modalità insediative, abitative e ambientali per la città metropolitana. All’estero invece è oggetto di un’attenzione sempre più ampia, e la scuola italiana avrebbe tra l’altro molto da dire. Penso certamente ai grandi piani urbani recenti, come Grand Paris, il Piano di Anversa, Bruxelles 2040, Lille 2030, Montpellier 2040, New Moscow. Ma anche ai progetti o concorsi d’area vasta, come Quito Metropolitan Corridor, Chicago Riverwalk, Detroit Future Plan. Per stare in Europa, la ex-cortina di ferro, lungo la quale si è sviluppato un importante corridoio ecologico che attraversa il nostro continente, l’European Green Belt, lungo più di 12.000 chilometri, con importanti operazioni di recupero e riconversione”.
La capitale inglese si ripensa a 25 anni con un piano di sviluppo ambizioso che la vuole fare diventare la città della "buona crescita" (Good Growth), una crescita socialmente ed economicamente inclusiva e sostenibile anche dal punto di vista ambientale. Con una particolare attenzione per gli spazi pubblici e la loro trasformazione.
“Lo spazio pubblico è l’elemento che può fare da legante, mettere a sistema le individualità della città consolidata e diffusa, i singoli interventi di rigenerazione di piccole e grandi aree”. Interessante, in questo contesto, la recente pubblicazione del Comune di Milano, “Spazio pubblico. Linee Guida di progettazione”, un vero e proprio manuale realizzato da Amat, Agenzia Mobilità, Ambiente, Territorio del Comune in cui gli elementi dello spazio pubblico iniziano a essere normati. “Ma la privatizzazione dello spazio pubblico è un tema trasversale a tutte le città del mondo” conferma Martina Orsini. “Molte delle nostre aree pubbliche oggi sono di proprietà privata, significa che in questi luoghi i nostri comportamenti sono sotto il controllo di telecamere, i nostri dati e le nostre geolocalizzazioni utilizzati in modo a noi ignoto, le nostre azioni limitate da regolamenti”. “A Stoccolma nel 2019 è stato rifiutato il progetto che prevedeva l’insediamento di un grande edificio Apple nella piazza di un parco pubblico della città. Non si è ritenuto conveniente rinunciare all’identità pubblica del luogo, o abbracciare l’idea che un’area pubblica dovesse produrre profitti. Dovremmo rifletterci”.
Il piano nazionale di governo del territorio cinese e lo Shanghai Urban Master Plan, stanno lavorando sul concetto di prossimità e alla definizione di nuove comunità di vicinato. La città sarà il risultato di interventi fisici e dell’implementazione di piattaforme digitali che aiuteranno ad acquisire dati per comprenderne le dinamiche di sviluppo su vasta scala e gestirne anche l’impatto ambientale.
Tornando in Europa, Spagna e Portogallo e i Paesi scandinavi hanno, più di altri, una sensibilità particolare per il disegno dello spazio urbano e per il sempre più stringente tema ambientale. “Per esempio i ‘Superblocks’ di Barcellona, ampissime quadre verdi ricavate tra gli edifici chiudendo strade e inglobando parcheggi; la cosa interessante è che sono parte di un piano per una complessa e articolata rete di nuovi spazi pubblici da implementarsi nei prossimi anni e destinati a incidere su forma e funzionamento complessivo della città e del suo territorio. O il sistema dei quartieri Climate Resilient di Copenhagen, dove una serie di nuovi spazi pubblici pensati per la raccolta delle acque piovane dà luogo a diverse tipologie di spazi collettivi, giardini, corti verdi, percorsi, che a partire dal cambiamento climatico propongono un ridisegno urbano diffuso”.
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