
La dimensione di ciò che non conosciamo o che ignoriamo di conoscere, dagli habitat di batteri nei nostri corpi ai misteri del Cosmo, è ciò che vuole affrontare la XXIII Esposizione Internazionale di Triennale Milano ("Unknown Unknowns. An Introduction to Mysteries", fino all’11 dicembre 2022): un viaggio tra l'imperscrutabile e incontenibile Ignoto, attraverso un arcipelago di mostre che ha lasciato libero spazio interpretativo ai diversi curatori. Un risultato a volte criptico – non potrebbe essere altrimenti vista l'ambizione del progetto – che ha visto 18 mesi di preparazione, un'orchestra di 400 progettisti da 40 paesi, 23 partecipazioni internazionali, 60 tra aziende e professionisti della cultura coinvolti. L’ignoto, dunque, diventa un elemento di stupore di fronte alla vastità di ciò che ci sfugge, uno strumento di scoperta che sfrutta l’empatia, quella capacità esclusivamente umana di immedesimarsi negli altri soggetti viventi e di percepire da svariate angolature.


Stefano Boeri: l'ignoto che ignoriamo
“Chiedersi cosa 'non sappiamo di non sapere'”, scrive Stefano Boeri, “può sembrare un esercizio futile, persino ridicolo. Eppure, basta per un momento prendere distanza dai ritmi ripetitivi della vita quotidiana e riflettere su quanto è accaduto in questa prima parte di millennio, per capire che questa domanda non è retorica. La domanda emergente – alla quale discipline diverse, e in primo luogo l’antropologia, cercano di dare risposta – è se sia ancora possibile pensarci come specie vivente egemone, perché capace di stabilire un principio di distanza e alterità rispetto al resto dei fenomeni vitali. Se sia possibile continuare a esercitare quel presupposto di 'dualismo' tra umano e non-umano, tra cultura e natura, tra tecnologie umane e fenomeni naturali, tra ambiente antropico e ambienti naturali, che in Occidente ha accompagnato lo sviluppo della conoscenza umana, per secoli. La pandemia da Covid-19 ci ha bruscamente messo di fronte alla fragilità dei nostri goffi tentativi di pensarci come 'altro' dalla natura e da quelle sue manifestazioni (vegetali e animali) che faticosamente abbiamo voluto confinare all’esterno dei nostri corpi. E, infine, come non capire che l’accendersi di guerre di aggressione, di genocidi attorno al dominio di territori, sia la più cruda manifestazione del nostro appartenere in toto al mondo animale e alle sue crudeli dinamiche di competizione per la sopravvivenza”.


“Per secoli”, continua Boeri, “abbiamo misurato l’evoluzione della nostra specie in base a un criterio di progressiva estensione, di graduale mappatura delle aree del mondo ancora sconosciute, oggi questa prospettiva sembra essere divenuta fragile, incerta e insufficiente. E nell’era della fine dei dualismi, della mescolanza tra i viventi, della compenetrazione delle culture, del crollo della nostra ambizione a riconoscere i limiti e gli orizzonti ultimi dei fenomeni del mondo che abitiamo, diventiamo consapevoli che non abbiamo più neppure una vaga idea di che cosa sia il campo, totale ed effettivo, ancora da esplorare. Le foreste, la fauna degli oceani, le profondità delle galassie, le connessioni neuronali, le dinamiche cangianti dei flussi migratori non ci appaiono più misurabili. E dentro la natura multidimensionale di questi fenomeni risiedono anche la nostra vita, le nostre aspirazioni, le traiettorie del nostro pensiero”.
[Leggi anche: “Migrazioni e nuove geografie urbane”]


L'introduzione ai misteri di Ersilia Vaudo
La mostra principale “Unknown Unknowns”, a cura dell'astrofisica Ersilia Vaudo, vuole attivare contaminazioni interdisciplinari attraverso più di cento tra opere, progetti e installazioni di artisti, ricercatori e progettisti internazionali che si confrontano, più o meno esplicitamente, con l’ignoto. Sguardi diversi – dal linguaggio più emotivo e intimo dell'arte a quello obiettivo della matematica, che pur ha aperto scenari inafferrabili della conoscenza, come l'universo infinito di Einstein – per evitare di rappresentare il mistero attraverso le comuni polarizzazioni concettuali o disciplinari: luce/buio, pieno/vuoto, scienza/arte. Ciò che è sconosciuto, così la mostra, inizia per noi terrestri dalla forza fisica con la quale siamo tutti inconsapevolmente connessi: la gravità, che modella instancabilmente il mondo a cui apparteniamo. La sezione più ampia della mostra è dedicata all’abitare l’ignoto, tra sistemi di orientamento tra cui le mappature, gli strumenti e gli habitat progettati per la vita in ambienti spaziali o sconosciuti. Tra realtà e finzione. Il percorso si conclude abbandonando definitivamente la dimensione antropocentrica, per aprirsi al mistero di mondi inaccessibili. Una speciale installazione a cura dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) chiude il percorso espositivo, offrendo una vista sorprendente della Terra, uno sguardo da lontano che fa emergere la fragilità del nostro Pianeta.


A testimonianza dell'urgenza di un cambiamento di prospettiva, che implica anche un diverso approccio verso l'ambiente, l’allestimento della mostra, progettato da Space Caviar e realizzato da WASP. Grandi podi sono stati realizzati attraverso la stampa 3D, direttamente negli spazi di Triennale, utilizzando materiali di origine naturale e sottoprodotti dell'industria agroalimentare, facilmente smaltibili dopo il disallestimento. “La stampa 3D è un terreno di grande sperimentazione. È usata anche sulla Luna per costruire on site con la regolite”, commenta Joseph Grima, fondatore di Space Caviar.
[Leggi anche “Biennale dell’arte come inno alla diversità e alle nuove alleanze”]


La tradizione del Nuovo. L'approccio esplorativo del design italiano
“Il design italiano”, scrive Marco Sammicheli, curatore della mostra tematica “La tradizione del nuovo”, “ha sempre avuto un approccio coraggioso e dedicato all’esplorazione, ha affrontato il non ancora conosciuto, si è confrontato con quanto non fosse ancora possibile o consentito attraverso la ricerca. Ha eroso terreno all’ignoto attraverso tentativi, fallimenti, azioni che per errore, per volontà, per caso o per passione hanno portato all’acquisizione di inedita conoscenza. La tradizione si riscopre strettamente legata a un principio di costante ricerca del nuovo”. La mostra presenta alcune delle ricerche più significative del design italiano tra il 1964 e il 1996, appartenenti alla collezione permanente del Museo del Design Italiano e agli archivi delle Esposizioni internazionali di Triennale. Ad esempio, e l'installazione “Il Progetto domestico” alla XIII Esposizione Internazionale (1986), qui riproposta, invita a immaginare modi di vita esistenti o ideali attraverso oggetti inusuali e paradossali, al limite della provocazione. Per nuove metafore abitative. Il percorso tematico della mostra si articola attraverso un arcipelago di parole: La Gravità, Contenitori umani, Environments, La Redazione, I movimenti degli anni '80, Orizzonti, Sinestesia e Musica.


Bee Awards alle migliori interpretazioni dell'ignoto dei Padiglioni Internazionali
Scelti sulla base dell’accuratezza dell'interpretazione del tema dell’Esposizione e della qualità delle idee proposte, tre padiglioni tra le partecipazioni internazionali – Paesi Bassi, Messico e Kenya – sono stati insigniti del premio Bee Awards. “Ci siamo incontrati? Umani e non umani su un terreno comune” è il titolo della mostra dei Paesi Bassi, a cura del Het Nieuwe Instituut, che mette in scena l’incontro tra esseri umani e altri esseri viventi, sottolineando la necessità di dare voce a tutte le specie del Pianeta, migliorando le interazioni reciproche. A questo scopo il visitatore è portato, ad esempio, a camminare su un percorso ricoperto da gusci di conchiglie.


Il secondo premio è andato al Padiglione del Messico per l'installazione “Saggio di Flora Onirica” di Daniel Godínez Nivón: un progetto/laboratorio partecipativo che, attraverso la forza dello storytelling, ha messo in primo piano i sogni e le aspettative di una comunità di nativi americani, mostrando come l’inconscio possa diventare strumento di espressione collettiva e modalità di creazione artistica. Il terzo premio è stato destinato al Padiglione del Kenya intitolato “Ujumbe” di Louise Manzon – nutrita la partecipazione dei paesi africani (6) alla XXIII Esposizione, anche grazie al ruolo di mediazione del co-curatore, Pritzker Price, Francis Kéré. Il mistero dell’acqua e le conseguenze delle nostre azioni sul Pianeta sono qui metaforicamente espresse in sculture che evocano sistemi agricoli e industriali, ponendo domande urgenti sull’inquinamento.